EPARINA O NON EPARINA: UN REBUS. LA CORTE DEI CONTI D'APPELLO ASSOLVE L'ORTOPEDICO PER IL DANNO ERARIALE
Secondo pacifica giurisprudenza, la colpa per essere considerata grave tanto da giustificare il danno erariale diretto da malpractice “deve ritenersi integrata non solo dalla violazione della leges artis (componente oggettiva della colpa, ndr), ma anche dalla prevedibilità e prevedibilità dell’evento (componente soggettiva della colpa, ndr)”. In tale ottica, la colpa non può prescindere da una valutazione ex ante, dovendosi tener conto delle condizioni nelle quali si è venuto a trovare il soggetto danneggiante/debitore e stabilire il grado di discostamento della condotta tenuta in concreto rispetto a quella “esigibile” (alla stregua del parametro dell’homo eiusdem professionis et condicionis, ex art. 43 c.p.) in considerazione proprio della capacità di rappresentazione dell’evento dannoso (prevedibilità) e di adozione di tutte le accortezze necessarie ad evitarlo (prevedibilità)”. Con questa motivazione, la sezione seconda della Corte dei Conti d’Appello con la sentenza 256 depositata il 9 ottobre, ha accolto l’appello dell’ortopedico annullando la sentenza di condanna emessa dalla Sezione giurisdizionale Umbra (40/2023, depositata in data 1° giugno 2023) che lo condannò, a titolo di colpa grave, al pagamento di euro 69.012,07, parte del risarcimento di € 869.012,07 pagato dall’azienda sanitaria alla famiglia.
Il fatto
Il paziente di ventotto anni, in data 22 gennaio 2009 si sottopose all’asportazione artroscopica di una cisti sinoviale al ginocchio dx presso il reparto di traumatologia in un ospedale umbro. L’operazione è considerata a basso rischio trombotico dalle linee guida in quanto l’asportazione non richiede
l’immobilizzazione dell’arto. Nonostante alcune linee guida affermino che l’eparina non sia necessaria per questa tipologia di intervento, il
medico la prescrisse alla dimissione per 8 giorni unitamente a esercizi fisioterapici per evitare l’immobilizzazione dell’arto. Secondo la prospettazione della famiglia del giovane e di alcuni testimoni, il paziente accusò forti dolori al ginocchio con relativo gonfiore, si recò al controllo, anticipatamente rispetto all’indicazione del medico e, sebbene l’arto si mostrasse a occhio nudo di colore molto scuro, il medico non avrebbe dato particolare
importanza a tali sintomi sicché non prescriveva né un’ecodoppler e tantomeno il proseguimento della terapia eparinica. Nei giorni successivi, preoccupato del peggioramento delle sue condizioni generali di salute e, soprattutto, dell’aumento eccessivo del rigonfiamento del piede destro, telefonava all’ortopedico segnalando la situazione ma, ancora una volta, il medico attribuì detti sintomi al normale decorso post-operatorio. La sera del 13 febbraio, il paziente accusò forti giramenti di testa, difficoltà respiratorie e dolori addominali a seguito dei quali decedeva a bordo dell’ambulanza per “cuore polmonare acutissimo secondario a embolia polmonare derivata da trombosi della vena poplitea destra”.
Il lungo percorso giudiziario
Il medico subiva un procedimento penale per omicidio colposo che si concludeva con la declaratoria diprescrizione. Nell’ambito di tale processo, il Ctu redigeva una perizia medico-legale datata 25 agosto 2010, nella quale concludeva per l’irrilevanza penale della condotta dell’indagato, ritenendo corretto anche il comportamento dello stesso e degli altri sanitari nel decorso post-operatorio.
Il processo civile si concludeva con due conformi in primo grado e secondo grado, con la condanna solidale al pagamento a favore della famiglia della somma di € 869.012,07. In quella sede, la sentenza valorizzò la mancata effettuazione dell’eco-color doppler e non avere prescritto il proseguimento della terapia eparinica come comportamento prudenziale anche se il proseguimento eparinico non era considerato necessario dalle linee guida.
I giudici regionali della Corte dei Conti sposarono l’opinione dei giudici civili per motivare la condanna del medico.
Motivazione non condivisa dai giudici della Corte Conti d’appello che hanno assolto il medico.
Le ragioni dell’assoluzione
La Corte dei Conti d’Appello ha ritenuto che il medico andasse valutato sulla base della decisione ex ante fondata sulle linee guida.
In particolare, la Corte ha valorizzato il comportamento del medico alla dimissione che prescrisse, nonostante l’intervento fosse ritenuto a basso rischio, l’eparina ed esercizi fisioterapici necessari per minimizzare il rischio tromboembolico. Tuttavia, afferma la sentenza della Corte conti appello, il consulente tecnico non spiega alcunché sul punto e non indica quali fossero le “peculiarità singolari del caso” in ragione delle quali un medico attento e diligente avrebbe dovuto discostarsi dalle raccomandazioni previste dalle linee guida proseguendo un trattamento neppure consigliato. Ciò posto, afferma la Corte d’Appello erariale, deve escludersi anche che il medico, nella fase post-operatoria, abbia agito con grave negligenza deviando dal modello di condotta connesso al corretto esercizio della professione medica. Ciò ancor più alla luce del fatto che venne anche prescritta la terapia meccanica (compressione a mezzo ginocchiera ed esercizi di fisioterapia precoci) concordemente con le ultime indicazioni internazionali che identificano nella terapia combinata (farmacologica e meccanica) la migliore profilassi possibile. Peraltro, prosegue la sentenza, i segni clinici riferiti non si riscontrano nell’ispezione cadaverica ove si parla di una “lieve succulenza” alla caviglia dx senza grossolane discromie cutanee o rilievi di altro tipo. Conseguentemente, non vi sono ragioni oggettive e soggettive, per dimostrare che il medico abbia agito con colpa grave con valutazione ex ante.
Il rischio trombotico e il dolore che non passa i campanelli d’allarme
Negli atti processuali manca un importante tassello per capire questa vicenda. È vero che il medico prescrisse l’eparina alla dimissione ma negli atti di causa non emerge se il paziente l’avesse acquistata e assunta. I giudici civili valorizzarono, a giudizio di chi scrive correttamente, l’assenza degli esami necessari a escludere l’evento trombotico e/o a indagare la causa del dolore più che il proseguimento della terapia eparinica ritenuto come prudenziale. Il rischio tromboembolico è sempre stato un grosso problema in traumatologia da una parte le linee guida che spesso sconsigliano per gli interventi minori l’eparina e, dall’altra, la giurisprudenza che spesso la indica quale regola prudenziale (tra le altre Cassazione civile sez. III, 20/02/2015, n.3390).
Nel 2023 è stata emanata una revisione delle linee guida in materia da parte della società scientifica Siot, denominato “consenso internazionale sul tromboembolismo venoso in chirurgia ortopedica e traumatologia (icm-vte)” e pubblicato sul Giornale Italiano di Ortopedia e Traumatologia 2023;49(Suppl. 1):3. Nelle premesse si dice chiaramente: “alla luce dei dati imperfetti disponibili in materia di Tev, non sorprende che
le linee guida siano state criticate per diversi motivi. Molte linee guida hanno limitato il loro campo di applicazione a una procedura chirurgica specifica (ad esempio, la sostituzione totale dell’anca o del ginocchio), altre non hanno riconosciuto l’importanza delle variazioni nella predisposizione geografica e razziale al Tev e quasi tutte hanno tentato di produrre raccomandazioni basandosi preferenzialmente o esclusivamente su studi
di livello di evidenza elevato. Ancorché comprensibile e apprezzabile dal punto di vista metodologico, questa strategia tuttavia ha portato all’inclusione di studi condotti dall’industria farmaceutica (come parte dei requisiti normativi per l’approvazione di nuovi agenti chemioprofilattici per uso clinico). Tali studi spesso utilizzano come esito l’incidenza della trombosi venosa profonda distale alla venografia, piuttosto che il Tev clinicamente rilevante o l’embolia polmonare fatale, che rappresentano gli esiti veramente preoccupanti sia per la comunità medica sia per i pazienti. Alcune linee guida sono state criticate anche per aver trascurato gli eventi avversi, anche fatali, che possono insorgere a seguito della somministrazione di alcuni di questi agenti o l’embolia
polmonare fatale, che rappresentano gli esiti veramente preoccupanti sia per la comunità medica sia per i pazienti“.
Quindi a volte per le linee guida l’eparina è troppa ma per i giudici troppo poca. Se con il senno di poi nessun errore è possibile, certamente questa vicenda insegna alcuni comportamenti precauzionali fondamentali quando viene prescritto un farmaco salvavita: il paziente deve essere informato dell’importanza salvavita dell’assunzione del farmaco e, conseguentemente il medico che si trova a rivalutare un paziente al quale l’eparina è stata prescritta deve informarsi dallo stesso sulla sua eventuale effettiva assunzione. Nel giudizio la verifica dell’effettiva assunzione è fondamentale per stabilire la responsabilità del medico. Oggi con la prescrizione elettronica questa indagine è anche piuttosto semplice. Che sia prescritto o meno il farmaco, un elemento quasi sempre presente nelle cause di malpractice è il dolore persistente, sottovalutato e non creduto che viene ignorato e non indagato.